Il 2020 ha messo a dura prova tutti noi e le sfide, si sa, sono sempre state dietro l’angolo. C’è chi in un momento difficilissimo è riuscito a portare avanti un progetto ambizioso e innovativo: sono le ragazze di Rea Arte, che lo scorso Ottobre a Milano hanno dato vita ad una nuova idea di Fiera tutta dedicata all’arte emergente internazionale. E’ nata così ReA! Art Fair, un modello innovativo di fiera d’arte dove i protagonisti assoluti sono gli artisti emergenti.
100 artisti, 6 sezioni espositive (fotografia, digital art, performance, pittura, scultura, installazioni), oltre 150 opere e prezzi ben esposti.
Questa è Rea! Art Fair, frutto del lavoro e della passione per il mondo dell’arte di 12 donne determinate a raggiungere un obiettivo comune: creare un progetto curatoriale innovativo capace di dare il giusto spazio e visibilità agli artisti emergenti ed indipendenti.
E dopo il successo dello scorso anno, sono già pronti i preparativi per la seconda edizione di ReA!Art Fair 2021, che si terrà dal 3 al 6 Settembre presso la Fabbrica del Vapore a Milano.
Io che rimango sempre affascinata da chi porta avanti i propri sogni e aspirazioni con determinazione e passione, ho deciso di chiedere qualcosa in più di questo interessantissimo progetto, proprio ad una delle ragazze di Rea Arte.
Per l’occasione ho intervistato Pelin Zeytinci, co-founder di Rea Arte, curatrice della Fiera e perfomer. Pelin mi ha raccontato di come nasce l’idea di realizzare un progetto curatoriale nuovo e di come sono riuscite a ideare nel concreto, un modello diverso di fiera nel mondo dell’arte contemporanea e tutto questo proprio nel bel mezzo di una pandemia.
Ma non solo, sono emersi tanti aspetti interessanti sulla professione del curatore d’arte tra aneddoti, consigli utili ed esperienze personali.
Ma il resto non vi resta che scoprilo leggendo l’intervista per intero.
Ciao Pelin, grazie per aver accettato la mia intervista. Curatrice, manager di una galleria d’arte contemporanea, perfomer, art director e, non da ultimo, co-founder di Rea Arte. Partiamo da qui. Puoi spiegarmi meglio come nasce il progetto Rea Arte?
Il progetto di ReaArt nasce da un’idea di Marina Rybakova imprenditrice e amante delle fiere e del mondo dell’arte. Molto spesso per lavoro si trova in giro per fiere e gallerie e questo le ha permesso di accorgersi che in realtà nel sistema fiere c’era qualcosa che secondo lei non andava, o meglio, qualcosa che poteva essere cambiato. La sua esperienza professionale (Marina è specializzata nel marketing nel settore dell’arte) le ha permesso di notare tantissime cose. In particolare non vedeva che agli artisti emergenti veniva data la giusta attenzione, non venivano rappresentati dalle gallerie se non avevano esperienze.
Ma non solo. Anche i prezzi, non le sembravano chiari, trasparenti, giusti nel mondo dell’arte…quindi ha iniziato a discutere di questo progetto, di metter su un’associazione culturale senza fini di lucro dedicata proprio alla promozione e alla cura dei talenti e degli artisti emergenti dell’arte contemporanea con i suoi amici fra cui io! E da lì ha proposto di realizzare il progetto di Rea Arte, che ho sostenuto fin da subito.
Io e Marina ci siamo conosciute mentre organizzavamo una mostra di un artista che curavamo entrambe e abbiamo notato che è davvero molto difficile essere un artista emergente oggi e aver l’attenzione dei curatori, del pubblico, delle gallerie. Abbiamo pensato che una Fiera dedicata agli artisti emergenti poteva funzionare, ma dovevamo elaborarla bene, nei minimi dettagli. Il nostro obiettivo è proprio quello di togliere il muro fra il pubblico e l’arte collaborando direttamente con gli artisti. ReA! Art Fair nasce proprio così: da un’idea, da una presa di coscienza che qualcosa nel mondo dell’arte contemporanea poteva essere migliorato. ReA! Art Fair è una fiera artist-oriented, una realtà che oggi è diventata molto concreta.
Lo scorso anno con tutte le difficoltà legate all’organizzazione di un grande evento culturale in piena pandemia, tra dubbi e incertezze, siete riuscite ad organizzare a Milano presso i suggestivi spazi della Fabbrica del Vapore, la prima edizione di ReA! Art Fair: la fiera dedicata all’arte emergente internazionale. Che esperienza è stata?
L’esperienza è stata molto positiva. Ovviamente Il decreto ci ha messo tantissima paura perché c’era il rischio che la fiera potesse chiudere da un momento all’altro, ma siamo riuscite a realizzarla e a tenerla aperta per tutte e tre le giornate! Ovviamente abbiamo dovuto annullare le performance, che non siamo proprio riuscite a fare, mentre tutti i talk dal vivo li abbiamo trasmessi sui social. Quello che abbiamo fatto per le performance, per non perderle del tutto, è stato quello di trasmetterle su dei video, grazie a dei monitor sparsi per la location. In questo caso siamo riuscite a recuperare le performance che dal vivo non era proprio possibile realizzare, a causa ovviamente delle misure restrittive. Nonostante tutto la fiera è andata molto molto bene! Sono arrivate tantissime persone, e noi non ce lo aspettavamo, perché il clima non era proprio dei migliori, il periodo era davvero percepito come molto rischioso…e per questo siamo davvero ancora molto contente e soddisfatte.
Infatti la fiera stato uno degli ultimi eventi in presenza prima delle chiusure definitive di fine Ottobre…
Sì esatto. Quando abbiamo chiuso la fiera il giorno dopo tutta l’Italia è diventata zona rossa.
Una cosa di Rea Arte che mi ha molto colpita – uno dei motivi per cui ho deciso di contattarvi e di frequentare uno dei vostri interessati workshop – è il carattere internazionale della vostra Associazione. La vostra Open Call è rivolta inoltre a tutti gli artisti emergenti senza limiti d’età, provenienza geografica, percorso di studi. Insomma è aperta a tutti: un vero e proprio abbattimento dei confini e delle barriere. Vi piacerebbe portare il format ReA! Art Fair in giro anche in altre città?
Si si assolutamente, è proprio nei nostri programmi. In questo momento la nostra “base” è Milano, ma ci piacerebbe portare ReA! Art Fair anche a Roma, ad esempio, e nel sud Italia come in Sicilia e più avanti, anche per il carattere internazionale che caratterizza il nostro team, sicuramente anche all’estero.
Oggi l’attenzione sul concetto di empowerment femminile è sempre più alta. Non a caso l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione delle donne e delle ragazze è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Una caratteristica di Rea Arte è la sua formazione, un team tutto al femminile: 12 donne, soprannominate anche le “le ragazze dell’arte”. Quale messaggio vi piacerebbe trasmettere alle donne che vogliono intraprendere una carriera nel mondo dell’arte oggi?
Allora…una bella domanda davvero. Diciamo che il fatto che il nostro team è composto solamente da donne è in realtà una bella coincidenza. All’inizio c’erano anche due ragazzi. Questo però mi porta subito a pensare a come le donne rappresentano veramente un simbolo di forte determinazione. Secondo me una donna ancora oggi si trova a “combattere” su due fronti: uno è quello del lavoro che svolge durante il giorno che le permette di guadagnare e di mantenersi, mentre se vuole portare avanti una sua passione può farlo in un secondo momento, come la sera. Ed è poi quello che facciamo noi. Come sai noi siamo tutte volontarie e lavoriamo la sera per Rea Arte.
Avere la passione, la determinazione è fondamentale. Tutte le donne che lavorano in questo momento per Rea sono fortemente determinate. Abbiamo uno scopo e un obiettivo in comune e una cosa è certa: tutte noi abbiamo lo stesso sogno e questo sogno coincide con la nascita e la realizzazione di Rea Arte.
Nel nostro team ci sono artisti, le curatrici, gli organizzatori, i responsabili della comunicazione che amano l’arte e vogliono comunicarla sui social e non solo. E tutte noi siamo accomunate da questa grande passione per il mondo dell’arte. E se una donna è davvero appassionata di qualcosa, il consiglio che posso darle è quello di cercare sempre di aprire da sola “le porte” senza aspettare che qualcun altro lo faccia per lei. Se non riesci a lavorare bussando alle porte delle altre fiere, delle gallerie, nei musei o peggio ancora, trovi sempre un lavoro da stagista, magari non pagata o sottopagata, è meglio a quel punto creare qualcosa di tuo, così puoi davvero imparare tanto sul campo. Da qui secondo me nasce la determinazione, che accomuna poi tutte noi.
Mi trovi assolutamente d’accordo…
E così puoi creare e far nascere anche qualcosa che non prima non esisteva e questo è importante. Devi vedere, osservare, anche quali sono i punti deboli degli altri, quello che non funziona intorno a te e poi lo devi applicare sapientemente al tuo lavoro.
Quest’anno, dato il successo della prima edizione che è sempre la più difficile, Rea Arte è prontissima a portare in scena, dal 3 al 6 settembre 2021, la seconda edizione della Fiera speriamo anche in un clima diverso! Rispetto alla prima edizione, cosa ti piacerebbe fare di più?
Vorrei assolutamente incoraggiare molto di più gli artisti. Stiamo cercando di far girare ancora di più la voce di ReA! Art Fair tra gli artisti emergenti.
Mi piacerebbe che molte più persone partecipassero alla Fiera, per questo vorrei fare molto di più rispetto allo scorso l’anno scorso, affinché molte più persone siano coinvolte. E ti assicuro che già l’anno scorso lo abbiamo fatto molto! A volte notiamo che le persone si “perdono” tra i vari eventi, non sanno, oppure sono intimoriti. A volte l’arte viene vista come qualcosa di distante dalle persone. Quello che ci piacerebbe fare è abbattere questa “quarta parete” e mettere sempre di più in contatto il pubblico con l’arte e gli artisti stessi, senza nessun tipo di “snobismo”.
Scendiamo adesso un pochino più nel dettaglio. Mi piacerebbe conoscere qualcosa in più sul tuo mestiere che personalmente trovo affascinante, ricco di stimoli, creativo, ma anche molto complesso. Di cosa si occupa principalmente un curatore d’arte?
Allora prima di tutto il curatore si mette in contatto con l’artista. L’artista è il tuo punto fondamentale da cui partire, uno dei tuoi obiettivi, il più importante, è quello di arrivare al pubblico. Se escludi il pubblico, allora non puoi promuovere bene il tuo artista. Il curatore deve essere un ottimo osservatore.
Chiaramente ogni curatore lavora in modo diverso, questo dipende molto dal tipo di impostazione con la quale lavori: se sei un curatore in un museo, per una mostra indipendente, per una galleria, in una fiera…insomma dipende tantissimo da cosa devi fare in base al contesto nel quale operi.
Tantissime volte i curatori non si occupano del lato mercato o della vendita vera e propria dell’opera, ma in alcuni casi, come in quello della Fiera, io mi occupo anche della vendita delle opere. Quindi questo dipende davvero, prima di tutto, dall’ambito nel quale lavori.
Poi un curatore deve organizzare tutto: lo spazio, l’allestimento, insieme ovviamente all’organizzatore se c’è, altrimenti devi fare tutto da sola. Devi organizzare il trasporto, un altro aspetto molto importante!
Ti occupi dei testi, del comunicato stampa per i media fondamentale prima dell’apertura della mostra o della fiera. E’ tuo il compito di scrivere il testo minicritico dell’opera per spiegarla al pubblico che visita la mostra, ed è per questo che bisogna conoscere molto bene l’artista. Ad esempio alcuni curatori vanno molto spesso negli studi degli artisti proprio per approfondire e conoscerli meglio. Tante volte nella fase di ricerca il curatore sceglie insieme all’artista anche lo spazio più opportuno dove esporre le opere: bisogna unire sapientemente le opere dell’artista con lo spazio, perché se inserisci le opere in uno spazio che non funziona, allora ti garantisco che arrivare al pubblico é davvero difficile, il rischio è che l’opera non venga veramente capita.
Inoltre devi saper strutturare bene le opere in base allo spazio. Tra le tante cose poi il curatore si occupa anche dei cataloghi e di eventuali attività collaterali ed extra come ad esempio workshop.
Sai Giulia tutto sta nel capire chi è il tuo pubblico, a chi ti stai rivolgendo: dai bambini agli adulti, devi essere in grado di spiegare un’opera d’arte contemporanea ad un pubblico vasto e molto diverso. Quello che spieghi deve essere il più possibile chiaro per tutti.
Quali sono secondo te 3 skills fondamentali per intraprendere questa professione?
Pazienza sempre! In primis…e ovviamente una bella dose di cultura. Devi conoscere il mercato dell’arte, gli artisti, la tua società, i posti della cultura, il pubblico. Devi essere sempre informato e devi essere un bravissimo osservatore. Questa è sicuramente è una seconda skill. Devi saper fare delle analisi di mercato e tradurle in una sintesi. Quello che vedi, quello che impari, che senti, che vuoi trasmettere devi mettere tutto insieme e applicarlo nel tuo spazio, nel tuo lavoro.
Terza skill fondamentale è la passione, come in tutti lavori. Questo non è un mestiere semplice. All’inizio non vieni strapagato o a volte neanche pagato! Dipende da quanto lavori. Se non hai amore e passione non ce la fai…dall’amore e della passione arriva poi sicuramente la pazienza.
In base alla tua esperienza, qual è il rapporto che si instaura tra il curatore della mostra e l’artista?
Innanzitutto devi conoscere molto bene l’artista: da dove viene, perché sta facendo quel lavoro, perché lo ha creato, che cosa vuole comunicare, che cosa vuole trasmettere.
In una prima fase devi farti spiegare tutto questo. Non tutti gli artisti sono capaci di spiegare le loro opere o quello che stanno facendo! E quindi il curatore, deve essere bravo a tirar fuori quello che vogliono dire, cosa fanno, le loro ricerche…tutto quanto. Devi pensare a cosa troverà il pubblico in quell’opera, che sensazioni avranno.
Quello che io penso prima di tutto è: quali sensazioni suscita in me quell’opera? Cosa provo quando la vedo? Mi colpisce particolarmente, me ne innamoro perché ha un bellissimo colore, mi da tranquillità…che sensazione ho? Voglio andare a leggere subito la didascalia e la spiegazione o mi lascio trasportare delle mie emozioni e dalle sensazioni che provo quando vedo quell’opera…Ci sono tanti modi per spiegare un artista e la sua opera. Davvero.
Si può portare secondo te la tecnica dello storytelling anche quando si progetta e si cura una mostra? Ogni mostra del resto racconta una storia…
Si certo. E questo dipende molto dalla mostra.
Io quando penso ad un allestimento, soprattuto di un collettivo, la utilizzo tantissimo. Per me ci deve essere un percorso, una storyline. E questo percorso dipende molto da quelle sensazioni di cui ti ho parlato prima. Quindi lo storytelling viene molto spesso messo in gioco. Che percorso fa il visitatore quando entra in una mostra? Se può andare ovunque, cosa troverà, come girerà, cosa vedrà prima e dopo? Come vengono collegate le opere fra loro, con la luce, con l’allestimento, con lo spazio? Tutto è importante.
Anche la luce che utilizzi in una mostra fa parte di uno “storytelling” se vogliamo. Se utilizzi una luce più buia, scura, allora vuoi comunicare una specifica sensazione, se metti una luce molto forte, bianca, hai l’idea di qualcosa molto elettronico, tecnologico, ti da sicuramente tutta un’altra sensazione. Tutto dipende da quello che vuoi raccontare.
Qual è la mostra che hai curato che ti porti nel cuore, e con quale artista invece desidereresti collaborare?
Fammi pensare…Allora, non una mostra, ma un’installazione/performance che ho curato con il mio collettivo che si chiama Ultimatum, circa 2 anni fa, l’anno prima della pandemia. Abbiamo realizzato un’installazione dove il tema dello storytelling era molto presente.
La performance si articolava in un percorso ben specifico, le persone una volta entrate nella location della performance – avevamo affittato una villa indipendente vicino alla stazione centrale di Milano- venivano catapultate in una miriade di sensazioni che attraversavano ogni stanza della villa. La perfomance è durata 3 giorni, e mi è rimasta particolarmente nel cuore perché, non solo è un mio progetto curatoriale, ma sono stata anche performer e art-director. Un lavoro molto complesso.
Abbiamo in cantiere con il collettivo altri progetti simili a questo. Non appena sarà possibile realizzare questo tipo di eventi sicuramente lo faremo di nuovo.
Mentre per quando riguarda un artista con cui mi piacerebbe molto collaborare…
L’anno scorso proprio per Rea!Art Fair mi sono innamorata di tanti artisti, del loro lavoro e dei loro progetti. In particolare c’è un artista molto giovane con il quale vorrei portare assolutamente avanti una collaborazione ed è Leo Cogliati. Mi piacerebbe far conoscere a quante più persone possibili le sue opere ed organizzare con lui delle mostre personali. Tra l’altro Leo Cogliati sarà uno dei 10 artisti protagonisti della mostra che inaugureremo adesso a Giugno a Milano.
Mentre se vogliamo parlare di un artista non emergente, ma con cui vorrei tantissimo lavorare è di certo Olafur Eliasson, un artista che lavora molto con la luce, con la natura, con le ricerche scientifiche. Racconta sempre delle bellissime storie, e chi si utilizza lo storytelling nelle installazioni conquista il mio cuore. Io adoro le installazioni!
A proposito di artisti e di mondo perfomativo. Ho letto che nel tuo percorso lavorativo hai lavorato con alcuni grandi protagonisti dell’arte contemporanea, tra cui Marina Abramović. Cosa ti ha lasciato questa importante esperienza lavorativa?
E’ stata sicuramente una bellissima esperienza. Ho preso parte ad una sua performance chiamata “Rice counting exercise”, in occasione del Fuori Salone del 2014. Marina Abramović in quegli anni lavorava molto sul concetto del pulirsi la coscienza, del compiere un rituale, della meditazione, del gioco dell’autocoscienza..
Durante l’esercizio ci è stato chiesto di sederci e di contare due tipi diversi di semi riso e lenticchie, presenti in questi sacchi giganti e di dividerli. In pratica ognuno di noi doveva costruire una propria tecnica. Ci è stata data una penna e un foglio e piano piano con pazienza quello che dovevamo fare era contare i diversi semi: un gesto per ordinare lo spazio fisico e mentale. E’ stata un’esperienza molto emozionante.
Chiaramente ho avuto il piacere di conoscerla, in quanto è stata lei personalmente a spiegarci l’esercizio che dovevamo svolgere. Far parte della sua ricerca è stata una cosa personalmente molto bella.
Dato il periodo che stiamo vivendo fatto di esperienze sempre più virtuali, qual è secondo te il ruolo dell’arte contemporanea – e della cultura più in generale – in questo momento storico?
La cultura ci aiuta sempre, a patto che non venga bloccata!
Bisogna soffermarci e riflettere sul perché delle chiusura dei luoghi della cultura, mentre Zara & co, solo per fare un esempio, sono sempre rimasti aperti. La cultura permette alle persone di pensare, gli da forza, energia. Il pensiero è crescita.
La cultura adesso però deve prendere un’altra forma. Abbiamo imparato a sopravvivere anche in questo ambito. Tante realtà hanno iniziato a fare spettacoli sui social anche se non è la stessa cosa, ma necessariamente hanno dovuto farlo.
Se parliamo del mio lavoro, una mostra sui social secondo è davvero un’esperienza che non so quanto mi piace veramente. Il pubblico ha bisogno di sentire un’opera dal vivo e da vicino, ha bisogno di osservarla.
Ci sono poi molto artisti che lavorano nell’arte contemporanea che hanno creato tantissimo durante questa pandemia, e quello che consiglio è quello di andare a vedere o leggere quello che dicono, anche a livello politico, e questo già ci può aiutare molto. Qualche tempo fa ho visto un’opera che davvero mi ha colpito. Era realizzata da sole mascherine, era un materasso pieno di mascherine usate e ho pensato che fosse davvero interessante, perché le mascherine purtroppo in questo momento stanno distruggendo l’ambiente. Sono davvero una minaccia ecologica.
Gli artisti con le loro opere fanno questo: ci danno modo di pensare, di vedere cosa sta succedendo, di riflettere.